Mi trovavo, com’era d’abitudine da qualche anno, nello splendido contesto di Villa Pisani a Lonigo, meglio conosciuta con il nome di Rocca Pisana.
Ogni riflessione nasce da un pretesto.
Il pretesto di questo racconto accadde alle 3,40 del 28 settembre 2003 e si trattò del più grande balckout della storia italiana, dovuta alla caduta di un albero sulle impervie alture al confine tra Svizzera e Italia, che gettò per lunghe ore nell’oscurità l’intero Paese. Giusto qualche ora prima avevo sentito al telefono Thom Browne per gli auguri, visto che i nostri genetliaci cadono a un solo giorno di distanza. Ed è davvero una strana e bizzarra coincidenza il fatto che quella telefonata divenga oggi lo spunto di questo breve e piccolo testo. Dunque, al momento del tremendo blackout nazionale mi trovavo, com’era d’abitudine da qualche anno, nello splendido contesto di Villa Pisani a Lonigo, meglio conosciuta con il nome di Rocca Pisana. Avevo scelto questo locus amoenus tra le colline dolci e verdi della campagna veneta come rifugio estivo al riparo dalle arsure della pianura. E qui, nei weekend o per intere settimane, mi cimentavo in pranzi e cene per amici e ospiti, nella grande e antica cucina della villa. Tuttavia, nonostante la familiarità con quei luoghi, l’improvvisa interruzione della corrente elettrica di quella notte mi precipitò, per alcune ore, in una dimensione d’altri tempi, costringendomi a percepire, nello stupore più assoluto, quel paesaggio, quella villa e quella campagna come mai prima d’ora: nella loro nuda e primigenia oscurità. Una situazione non troppo diversa, pensai, da quella che si presentava agli occhi di Scamozzi quando, quasi cinquecento anni prima, scrutava gli stessi fondali dalla loggia della sua creatura di pietra. Ciò che stavo sperimentando, in quella fresca notte di fine estate, era una straordinaria e perfetta aderenza tra ciò che vedevo e sentivo e ciò che aveva visto, sentito e progettato il giovane architetto vicentino secoli prima.
La Rocca, di per sé insolito esemplare di architettura palladiana senza superfetazioni e manomissioni successive.
La Rocca, di per sé insolito esemplare di architettura palladiana senza superfetazioni e manomissioni successive, emergeva in quella notte attraverso una speciale e sublime astrazione, rendendo ancora più tangibile la coerenza tra il disegno originario di Scamozzi e la realtà dell’edificio, tra la forma del manuale e quella del manufatto. Un’esperienza molto rara, concessa grazie al felice incrocio di circostanze diverse. Un evento di pochi decimi di secondo aveva azzerato d’un tratto la distanza di secoli. Quell’occasione mi aiutò a valutare con più consapevolezza il significato di Villa Pisani nella storia dell’architettura, e ad apprezzarne ancora di più la sobria unicità. Bisogna ricordare, infatti, che la Rocca di Scamozzi è un unicum specialissimo nella storia della villa palladiana. A differenza del modello tipico, è stata progettata senza granai e sottotetti, senza annessi rustici e barchesse, priva cioè degli elementi rurali che formano i meccanismi funzionali della villa veneta. Quando parliamo di ville venete, a dispetto della mitologia postuma, non ci troviamo di fronte a luogo di riposo e di piacere per la nobiltà, ma descriviamo un complesso sistema di attività economiche rivolto alla produzione massiva di derrate alimentari. La villa è il monumentale headquarter di un sistema produttivo protoindustriale. Esiste però un altro, famosissimo esempio di villa palladiana senza strutture secondarie. Si tratta, ovviamente, della Rotonda di Andrea Palladio, con cui il progetto di Scamozzi condivide sia l’impatto formale sia l’assenza di impianti secondari. Ma l’analogia tra le due opere, come cercherò di raccontarvi, è destinata a rimanere sulla superficie.
La Rotonda nasceva con funzioni di rappresentanza e di prestigio personale, a metà strada tra edificio sacro e profano.
Palladio progettò la Rotonda nel 1566, su incarico del conte Paolo Almerico, dottissimo committente che decise di ritirarsi in campagna immaginando un tempio per le sue piccole ossessioni: il culto degli antichi, naturalmente, ma anche la numerologia, la cabala e la meditazione. La Rotonda nasceva quindi con funzioni di rappresentanza e di prestigio personale, a metà strada tra edificio sacro e profano, esigenze rappresentate perfettamente dall’ordine simbolico-matematico della pianta inscrivibile in un cerchio perfetto, e dei quattro pleonastici pronai. La ricca dotazione di decori e di statuaria, e l’organizzazione stessa degli spazi ne riducono drasticamente la funzione pratica e abitativa. Ma si tratta di un effetto collaterale, molto secondario rispetto al raggiungimento di un esorbitante senso di spettacolarizzazione. Grazie al suo complesso apparato di polisemie, di rispecchiamenti e di ammiccanti compiacimenti autoerotici, la Rotonda resta ancora oggi, nonostante le numerose interpolazione e le aggiunte successive, una pin-up sublime e appariscente, la grande dama anticipatrice dello spettacolo barocco, e infine un meraviglioso archetipo di postmodernismo ante-litteram.
La Rocca resta contenuta all’interno di una precisa quadratura, con l’unico pronao orientato razionalmente verso il paesaggio alla ricerca della migliore visuale possibile.
Un discorso completamente diverso tocca alla Rocca di Scamozzi. Se la pianta quadrata e il volume centrale circolare, sovrastato dalla cupola, rimandano alla Rotonda, la Rocca resta contenuta all’interno di una precisa quadratura, con l’unico pronao orientato razionalmente verso il paesaggio alla ricerca della migliore visuale possibile. La linearità e il rigore dell’edificio risentono della coltissima e sobria gioventù di Scamozzi, non ancora appesantito dalla cipria della fama e delle onorificenze. A differenza della machine à épater della Rotonda, la Rocca è un figura più concreta e più pratica, un marchingegno di convezione costruito sulla necessità di abitare un luogo ventilato e salubre, “diporto in aria più sana”, al riparo dai miasmi della pianura, dalle zanzare malariche e dalla peste.
Scamozzi sembra aver pianificato un progetto piuttosto semplice ma ambizioso: quello di costruire una casa per il paesaggio.
Scamozzi sembra aver pianificato un progetto piuttosto semplice ma ambizioso: quello di costruire una casa per il paesaggio, un involucro solido ma al tempo stesso permeabile, che l’aria, la natura e il paesaggio possano attraversare liberamente senza ostacoli né filtri. Se la spinta è contingente, l’idea è di una straordinaria contemporaneità. Per attuarla, decide di concepire una struttura a doppio vincolo: una parte inferiore ben fissa, opaca e compatta fa da base e da ancoraggio a un livello superiore, destinato invece alla vita e quindi adatto a essere abitato nella più completa reciprocità tra spazio e natura. E così ad un grande piano terra fissato sulla roccia di quella che presumibilmente è una antica vestigia militare si oppone l’atmosfera aerea e lieve del primo piano. La perfetta circolazione dell’aria negli ambienti superiori e il rapporto senza soluzione di continuità tra spazio e paesaggio è favorito dalle tre serliane senza serramenti, che non oppongono alcun diaframma all’atmosfera e alla vista.
La perfetta circolazione dell’aria negli ambienti superiori e il rapporto senza soluzione di continuità tra spazio e paesaggio
Chi abita queste stanze ha l’impressione di trovarsi in una condizione di contatto fisico privilegiato con la natura circostante, che si mostra dalle aperture dei grandi saloni e persino dalla cupola con il foro aperto verso il cielo, pronta a raccogliere atomi di atmosfera e acqua piovana nelle giornate di pioggia.
Villa Pisani detta la Rocca venne realizzata tra il 1575 e il 1578, quando Vincenzo Scamozzi aveva di trent’anni. Ancora oggi rappresenta uno più alti esempi di villa veneta rinascimentale.Nei suoi spazi, nelle sue strutture, si respira intatta una condizione di magica atemporalità. Questa impagabile caratteristica ci permette di apprezzarla in maniera piena, positiva, senza necessità di mediazioni, di interpretazioni e di traduzioni, grazie ad una diretta e insolita corrispondenza tra disegni e struttura. La gioventù di Scamozzi ha resistito al tempo, insieme alle sue idee. La sua voce architettonica è ancora viva, e un orecchio sensibile può ascoltarla piuttosto bene, in Rocca, tra le mura e le stanze. Non c’è bisogno di esperimenti mentali né di ipotesi per immaginare come era: si trova là, come un fenomeno puro, bloccata nel suo speciale rapporto amoroso con il paesaggio, immersa nella stessa armonia di un tempo, così come mi si rivelò improvvisamente, durante una visione senza respiro, in una notte di settembre senza luci di 12 anni fa.
Villa Pisani detta la Rocca venne realizzata tra il 1575 e il 1578, quando Vincenzo Scamozzi aveva di trent’anni.
Flavio Albanese
foto di Vaclav Sédy
L’articolo è stato pubblicato su A Magazine n.15, curato da Thom Browne.
New York, Spring/Summer 2016