L’isola di vento e pietra

Pantelleria è ciò che resta di un grosso cratere vulcanico, circondato da altri 24 crateri più piccoli. La ‘Figlia del vento’(Bent-el Rhia), emerge nel cuore del Canale di Sicilia, a soli 70 km dalla costa tunisina.

I numerosi crateri spenti sono vestigia di quella che un tempo era una grossa attività vulcanica che ancora oggi resiste in forma di fenomeni vulcanici secondari e vapori che fuoriescono dalle rocce. Il nero lavico delle rocce è la fi rma che risplende nei muri a secco delle terrazze e dei giardini panteschi, gli straordinari orti cintati dispersi su tutta l’isola, a proteggere le colture da micidiali raffi che di vento. Insieme ai dammusi, le abitazioni tipiche costruite con gli stessi elementi, i giardini costituscono i segni di un equilibrio antico e perfetto raggiunto tra l’uomo e la natura. Pantelleria è un posto aspro e selvaggio dove le viti e gli ulivi convivono col soffi o dello scirocco e del maestrale, e dove un paesaggio unico vive e si trasforma
in armonia con gli abitanti e i visitatori.

La storia dell’aeroporto di Pantelleria inizia negli anni ‘30. Durante il Fascismo i progetti bellici del regime
valorizzarono la posizione strategica dell’isola che divenne una delle più fortificate e presidiate piazzeforti
del Mediterraneo

Nell’ambito di questi lavori, nel 1939, la Regia Aeronautica decise di spazzare un’intera collina e molti ettari di vigneto presso località Margana per la costruzione
di un campo d’aviazione. Sul lato sud orientale la ditta Bartoli e Nervi (il celebre ingegnere) progettò e realizzò un’imponente e articolata struttura sotterranea per il ricovero degli aviomezzi. L’hangar, lungo 340 m e largo 26 m, poteva ospitare oltre 80 velivoli. Ancora oggi la magnifi ca opera di Nervi è in ottime condizioni e viene utilizzata come spazio culturale.
A causa della sua militarizzazione nel 1943 l’isola divenne l’obiettivo primario dell’operazione Corkscrew (Cavatappi) con cui le forze armate inglesi programmarono le azioni preliminari allo sbarco in Sicilia. Dall’8 maggio all’11 giugno (data della resa) Pantelleria fu sottoposta a un massiccio bombardamento da parte degli aerei della RAF e, successivamente, dai mezzi navali inglesi. Secondo gli storici furono scaricate sull’isola oltre 5000 tonnellate di bombe che distrussero più dell’80% del centro urbano. I bombardamenti resero le piste in terra battuta del tutto inagibili. Furono gli stessi americani a ripristinare lo scalo, che per la fi ne degli anni ’40 fu dotato di due piste, una di 1.300 m ed una di 780 m. Del 1976 sono i lavori per la costruzione della precedente aerostazione, dismessa con l’edificazione di quella del 1982. Oggi l’aeroporto di Pantelleria (IATA: PNL, ICAO: LICG) è ancora classifi cato militare, aperto al traffico aereo commerciale nazionale e internazionale. L’aeroporto civile oltre a garantire per tutto l’anno le tratte sociali in continuità territoriale, nel periodo estivo facilita il movimento turistico verso l’isola.

L’idea per la nuova aerostazione di Pantelleria nasce proprio sull’isola, nella suggestione del suo clima al
tempo stesso diffi cile e magico, nei riverberi dei suoi colori così decisi e particolari, nel soffi o dei suoi
profumi
intensi.

Pantelleria è un’isola scaraventata in mezzo al Mediterraneo, raramente frequentata per motivi di lavoro, avvertita come luogo rassicurante di calma e serenità. La sua atmosfera, i suoi codici emozionali, avrebbero potuto coesistere con l’ampliamento di un aeroporto? Avrebbero potuto resistere a quella condizione di “non luogo” che spesso riservano infrastrutture del genere? Sarebbe stato possibile garantire a Pantelleria quell’impagabile equilibrio tra natura e uomo che da secoli la rendono un posto così speciale, un’isola fatta non di natura intoccata, ma toccata con sapienza e rispetto? Domande cruciali. Domande non banali, perché trasferiscono i problemi di un piccolo aeroporto di una piccola isola del Mediterraneo sul piano della questione fondamentale dell’architettura di oggi: il problema della sua necessità. Con “condizione necessitante” dell’architettura si definisce quell’urgenza di proiettare i pensieri e i progetti al livello di una nuova consapevolezza, secondo modalità e strategie diverse, anzi opposte, a quelle prevalenti fino ad ora. Uno dei compiti più diffi cili dell’architettura contemporanea è proprio quello di affrancarsi una volta per tutte dall’idea di eccezionalità e di assolutezza, per ritornare alla dimensione della responsabilità etica ed estetica. L’architettura ritrova la sua necessità quando ridiventa capace di stabilire connessioni, di creare stringhe di signifi cati senza soluzione di continuità tra la memoria e l’avvenire, tra ciò che è accaduto in passato e ciò che accadrà domani.È necessaria l’architettura in dialogo con tutto: l’ambiente, la natura, gli oggetti e i soggetti presenti nel mondo. Non c’è dubbio, poi, che il concetto di necessità si leghi strettamente all’idea di “innocenza”, cioè alla sensibilità nel costruire qualcosa di nuovo senza causare danni a ciò che gli sta intorno e che lo accoglie.

L’innocenza va così intesa non tanto nel suo senso morale, quanto sotto l’aspetto clinico, cioè come quel “Primun: non nocere” che resta una massima fondamentale della medicina da Ippocrate ai nostri giorni, e che dovrebbe orientare, ogni pensiero che si dica architettonico. L’idea di innocenza proviene dalla suggestione di un testo poetico di Rainer Maria Rilke, dove
– nel senso più ampio del signifi cato – il poeta parla di “toccare il suolo come se fosse la prima volta”. Il senso del verso è molto semplice: noi non cogliamo mai un oggetto isolato dal suo ambiente, per quanto asettico. Per quanto artifi ciale, lo sfondo lo circonda abbracciandolo e condizionandolo. Lo stesso vale per l’architettura. Non è possibile costruire nel vuoto
di senso, come invece a lungo si è pensato di fare. Il gesto nuovo si fa ridefi nire e si ridefi nisce nel gioco armonico con l’ambiente che lo circonda, generando una sequenza di nuovi signifi cati. Un’architettura “innocente” è così un’architettura che tiene conto dei suoi effetti, li pondera, si misura con lo sfondo senza ritrarsi, senza nascondersi, ma ponendosi in dialogo con esso. Date queste premesse, il progetto ne ha tratto le conseguenze, sposando lo spirito dell’isola, in ogni sua più tipica manifestazione. Come? Semplicemente, stabilendo un giusto, necessario e innocente equilibrio fra il nuovo organismo aeroportuale e il paesaggio entro il quale si sarebbe inserito. Il risarcimento ambientale della nuova aerostazione di Pantelleria parte così dall’idea di recuperare i tratti paesaggistici dell’isola, riducendo il più possibile le probabilità di rigetto e di superfetazione linguistica delle nuove strutture. La filosofi a è stata quella del lavorare “con” la natura, anziché contro, o nell’indifferenza verso di essa. In un certo senso, si è trattato di riattualizzare la tipica filosofia pratica pantesca, quella già presente nell’isola da millenni e dimostrata dal suo paesaggio, in cui gli ulivi, le viti, gli arbusti, i capperi sono circondati e convivono con muri a secco, dammusi, e giardini panteschi. Da qui la scelta di collocare una parte delle funzioni e le relative cubature, sotto la spianata del parcheggio. La suggestione proviene dal fatto che l’isola è di origine vulcanica e tutta la sua superfi cie è morfologicamente strutturata da crateri. Proprio a questo elemento pantesco ci si è riferiti, nel momento in cui è stata decisa l’aggiunta del volume interrato, con la presenza di una rotatoria che evoca l’immagine di un cratere, visibile nel terreno rinaturalizzato.I volumi disegnano un andamento altimetrico di tipo tellurico, defi nito dalla geometria irregolare caratteristica dei terrazzamenti dell’isola. Negli spazi non interessati dalla viabilità, è stata ripiantumata quella fl ora con cui l’uomo ha recuperato il suo rapporto con la natura: viti e ulivi, inserendo come elemento eccezionale vessillifero, la palma, che parsimoniosamente, nell’isola segna gli elementi architettonici di rilievo. Le pareti esterne della stratifi cazione artificiale riprendono pittoricamente i cromatismi della stratigrafi a vulcanica rilevata durante gli scavi per l’ampliamento.