Oggi assistiamo alla rivendicazione da parte degli umani metropolitani a partecipare di un frammento del giardino dell’eden, non importa quanto distante l’immagine sia dall’originale
Nel 2050 si presume che il 75% della popolazione terrestre abiterà in città. Questo dato ipotizza non solo che la matrice urbana si estenderà a luoghi finora non colonizzati, ma che la campagna, il paesaggio sempre più perderanno i crismi dell’alternativa radicale alla città divenendo, in un rapporto di forze ormai impari, una dimensione ancillare della metropoli. Per contro, per una specie di contrappasso ironico di sottile malizia, la città al suo interno si popola di spazi verdi, di riserve arboree, di terzi paesaggi, di simulazioni domestiche di campagna, di natura urbana che, viralmente, tende a contrastare dall’interno l’inerzia espansiva della città di cemento e vetro. Nella logica delle cose, quando un sistema chiuso diventa troppo grande e troppo esterno, tende a smagliarsi, a perdere elasticità nei punti sottili, subendo piccole perforazioni nelle difese immunitarie da cui penetra lo stillicidio di un’invasione carsica, puntuale ma diffusa. È così succede che lo spazio urbano, di per sé inorganico, venga colonizzato e riterritorializzato da uno sciame organico, anarchico e non-pianificato, che lo pervade dall’interno, diluedendosi nella trama metropolitana e conquistando spazi e zone prima impensabili. La cosiddetta green turn all’interno delle città non può però essere definita come un fenomeno univoco: essa si manifesta in forme e dimensioni molto diverse fra loro. Ciascuno di questi episodi racconta un movimento condiviso: la rivendicazione da parte degli umani metropolitani a partecipare di un frammento del giardino dell’eden, non importa quanto distante l’immagine sia dall’originale.
Nel moderno paesaggio urbano, afferma Adriaan Geuze, l’abitante della metropoli decifra l’ambiente che lo circonda e ne colonizza quel tanto che gli è più vicino. Ciò che un tempo si intendeva come parco, ha oggi nomi e aspetti infiniti, disseminati: “cinture verdi, strisce verdi, bosco, zone a fauna protetta, romantici giardini civici, parchi popolari, spianate sui boulevard, impianti sportivi all’aperto, lungargini, giardini privati”. A cui si potrebbero aggiungere, più recentemente: green island, guerrilla gardens, giardini del paradiso, orti urbani, green roofs, terzi paesaggi. Il fenomeno di proliferazione accade non solo perché nelle città l’offerta di natura è divenuta un requisito essenziale, come una volta lo era l’offerta di cultura e dei confort della civiltà: la natura è la moda, amplificata da potenti operazioni di merchandising, della green way of life del nuovo millennio. Ma anche, e ciò è un fatto di notevole interesse, perché in opposizione a questa deriva spettacolare e mercantilistica della green turn, si muovono delle controproposte partecipative di enorme significato politico, urbanistico, sociologico e comunitario. Intorno al “verde urbano”, inteso in senso lato, nascono perciò livelli di attenzione e di consapevolezza molto diversi, ma innegabilmente decisivi per lo sviluppo di ogni futura matrice metropolitana. Non è inutile a questa analisi una rapida ricognizione dei verdi urbani storicamente presenti nella forma urbana, insieme alla psicologica e alla simbolica che lavora sullo sfondo di questi temi.
IL GIARDINO.
“L’arte del giardino è la più manifesta e la più felice negazione della natura al naturale” sentenziava nel 1909 J.A. Lux sulla rivista viennese “Die Arkitekt”. Il giardino, pur essendo fatto di natura, non è un fatto di natura. È sempre un infraluogo: un luogo che si trova tra due elementi, ad esempio tra due muri, tra due spazi, tra un limite e un altro (una strada, un fosso, un terrazzamento, etc), che definiscono e danno carattere al giardino. L’organizzazione di uno spazio vegetale, aperto, all’interno di un contesto costruito, risale alle tradizioni orientali, come i famosi giardini pensili di Babilonia.
Il fattore archetipico del giardino risiede nella sua simbologia: il giardino orientale si propone come un compendio del mondo vegetale, una sorta di microcosmo in cui si rispecchia il macrocosmo, dotandolo di un valore insieme mistico ed estetico. Infatti, l’omologo del giardino è il tappeto, che rappresenta bidimensionalmente, quindi con un’artificialità di secondo grado, sia il macrocosmo del mondo, sia il microcosmo del giardino. Questi elementi retorici scompaiono nel giardino romano, che imprime una svolta “pragmatica” agli spazi aperti intorno ai palazzi. Nella dicitura romana, infatti, hortus, nel senso di orto, campo coltivato a fini alimentari e hortus nel senso di giardino decorativo, coincidono e si confondono fino al tardo impero. L’hortus conclusus medievale ripete questa situazione di promiscuità tra uso ludico e uso pratico, mentre dal Giardino rinascimentale in poi l’estetica dei giardini evolverà in un’arte della percezione, del gusto, della spettacolarità, separandosi in maniera netta dall’uso pratico. Nei modelli domestici, però, soprattutto nelle periferie verdi, nelle piccole città o nei centri abitati di modeste dimensioni, l’idea di orto, nel doppio senso latino, riappare come leitmotiv decisivo nell’immaginario culturale del secondo dopoguerra italiano, in un momento di transizione nella città, con l’inurbazione massiva di un’intera popolazione che viceversa manteneva abitudini di familiarità con la terra e i suoi prodotti. Dall’altra parte, il giardino decorativo delle grandi dimore nobiliari perdeva, alla fine dell’Ottocento, il proprio status di giocattolo privato: si inauguravano così i primi parchi pubblici urbani.
Il giadino è sempre un infraluogo: un luogo che si trova tra due elementi, ad esempio tra due muri, tra due spazi, tra un limite e un altro (una strada, un fosso, un terrazzamento, etc).
IL PARCO.
Una delle prime apparizioni del termine “parco” può essere fatta risalire al Barco della Regina Cornaro ad Asolo, magnifico esempio di proto-villa veneta (1489). In questo caso barco indicherebbe la vasta zona di “campagna recintata” intorno all’edificio. Normalmente l’origine dei primi parchi pubblici si trova proprio nei grandi giardini nobiliari, confiscati o donati alla città. Il parco moderno nasce per riscattare le città industriali in forte sviluppo espansivo dal loro stato di degrado e per consentire loro di riflettere su se stesse verso un modello di vita più salubre, più decoroso, dove il ricordo agreste di un paesaggio perduto si riproducesse a parziali risarcimento delle difficoltà della vita nella città moderna.
Ma esiste anche una componente progettuale costruttiva, nell’idea progressista e utopica di prevedere un quantum pro capite di verde pubblico per ciascun abitante della città. I parchi superano oggi la funzione contemplativa o di risarcimento igienico della città, ma restano uno dei luoghi strategici su cui contare per il futuro evolversi dell’insediamento umano: come luogo concettuale e fisico in cui impariamo a confrontarci, occupa meglio quel ruolo di polo che stanno perdendo la strada e la piazza.
IL TERRAZZO.
Un terrazzo (dal francese térrasse), per quanto faccia parte della struttura e dei volumi di un edificio, è già proiettato fuori, all’esterno, oltre i limiti dell’abitazione. Può essere interpretato, a seconda delle opinioni, come un’estensione della casa in direzione della città o il paesaggio, oppure come l’avanguardia del fuori che si spinge alle porte del dentro. Se immaginiamo oggi la stratigrafia di una città contemporanea, possiamo individuare tre livelli. C’è la quota della strada, dove si consuma in velocità la dimensione pratica della nostra esistenza: i percorsi, gli accessi, i negozi, le merci, tutti distribuiti su un piano orizzontale. C’è poi la quota privata della dimensione domestica, rialzata dal piano della strada, dove però il mio sguardo si arresta continuamente sugli oggetti, all’interno di ambito che, per quanto trasparente e rarefatto, rimane uno spazio chiuso. Al contrario, quando ci si colloca sulla terrazza, i sensi si confrontano con l’intorno in un dialogo potenzialmente inesauribile. La vista può spaziare, il corpo si ricolloca geograficamente, riconsidera i rapporti e le coordinate cardinali, lo sguardo risignifica le distanze urbane.
Il "Barco della Regina Cornaro ad Asolo" (1489) è considerato il primo esempio di parco modernamente inteso. In questo caso "barco" indicherebbe la vasta zona di “campagna recintata” intorno all’edificio
PSICOLOGIA.
Il giardino, insieme al parco e al terrazzo, costituiscono degli spazi limite, interni alla trama urbano, ma disomogenei rispetto ad essa. Essi sono il punto in cui il privato si incontra e si mescola con il pubblico, in un contesto che si definisce comune. Il giardino è assolutamente disomogeneo rispetto al luogo in cui viene collocato. La tensione dell’uomo verso la natura, dovuta all’esigenza di evadere dalla condizione artificiale e dai ritmi ossessivi della grande città verso un mondo più ritmato, più sereno, più legato ai tempi e alle armonie naturali, trovano uno sfogo nel verde urbano. Lo spazio dell’orto, del giardino o del parco è una soglia (schwelle) pacificata posta all’interno della mappa come enclave eterotope. Ovviamente, questa immagine edenica è una falsificazione della natura, che raramente si dà in questi termini se non, per l’appunto, nei contesti controllati dell’agro, del parco e del giardino, in cui gli elementi del paesaggio sono l’esito di una profonda antropizzazione ambientale. Ma quelle finzioni naturalistiche che sono parchi, giardini e terrazzi verdi, registrate di volta in volta secondo i gusti e l’esigenza di un’epoca, sono sufficienti alla mente degli uomini per trovare (o immaginare di farlo) quiete, per risentirsi partecipe di una particella di giardino dell’eden prima del peccato universale. Tra le baselines dell’immaginario collettivo dell’umanità, la quieta rappresentazione del giardino è dotata di un amplissimo apparato iconografico (dalle decorazioni floreali del palazzo di Cnosso al Déjeuner sur l’herbe), che non cessa di colonizzare i nostri sogni. A questa iconografia lussureggiante, se ne accosta sempre un’altra, più modesta e meno strabiliante, quella dell’hortus inteso come orto, come brolo, come luogo fecondo e produttivo. Un tempo luogo della sussistenza e della fatica, oggi ritrovato spazio della manualità, del contatto con la terra, della socialità. Le due visuali rivivono nella città contemporanea una ritrovata vivacità, un interesse e un’attualità che non trovano riscontri nella storia più recente. Le nuove tendenze nei laboratori metropolitani sono quelle di offrire agli abitanti valide alternative alla gita fuori porta, radicando nella trama urbana i valori tattili e ambientali ricercati in una campagna che, giorno dopo giorno, si assimila alla città. La green turn metropolitana tocca lo stile di vita occidentale a tutti i livelli, ma comporta scelte e conseguenza non sempre così nette e semplici.
Le nuove tendenze nei laboratori metropolitani sono quelle di offrire agli abitanti valide alternative alla gita fuori porta, radicando nella trama urbana i valori tattili e ambientali ricercati in una campagna.
ECONOMIA/ECOLOGIA.
Abbiamo già definito il giardino (e le sue varianti) come luogo eterotopo, in cui si incrociano e convivono motivi e vettori contradditori: interno/esterno, pubblico/privato, campagna/città, natura/artificio. Non codificato-non codificabile, esso contiene un nucleo di potenzialità (potenze) con la capacità di bypassare concettualmente i duelli oppositori, arrivando a ridefinirsi come uno spazio unico, senza equivalenti. Nel giardino l’esterno è rinchiuso nella dimensione del circoscritto, il pubblico si stempera nell’idea di comune, la natura si addomestica all’interno di un controllato artificioso. Per lo urban design il tema del giardino diventa ricco di sfumature e di possibilità progettuali e sociali. Sia esso dilatato a livello di parco o ridotto alla dimensione di giardino pensile in terrazzo, oppure, secondo aspetti più politici, venga declinato in forme ancora più marcatamente eterotope, come l’epopea del residuo e dell’incolto (il terzo paesaggio di Clément) o come il gesto riappropriatorio di una comunità che rifiuta il consumo dello spazio (guerrilla gardens, green islands, radical gardens, orti urbani), il giardino oggi si pone al centro del pensiero che pensa la città .Un pensiero da sviluppare, anzi da propagare. Propagazione e propaganda condividono la medesima base etimologica, così come radicale e radice. Basti pensare come anche in una città come New York i nuovi spazi residui, liberi o liberati, diventano occasione di rinaturalizzazione (si veda la High Line) e quindi, di riqualificazione urbana. La radicazione della natura nel cuore delle abitudini urbane spingono in direzione di un ritorno del collettivo e di una piega spontanea, informale e –anche- agricola del concetto di spazio comune, si propone una nuova idea di open space nel senso di: aperto a tutti, non codificato. Poiché, in effetti e in ogni caso, anche un terrazzo o un giardino domestico si sperimentano come spazi vissuti collettivamente. Ma attenzione: l’ideologia positiva dei nuovi spazi verdi è minacciata dai grandi interessi economici gravitanti attorno alla green turn. Questa economia è rappresentata molto bene dai gardens, i macrovivai che punteggiano le periferie e i nostri centri commerciali.
Con i giardini del passato, essi hanno in comune, oltre al nome, solo il fatto di essere spazi/contenitori per specie vegetali che, di frequente, si trovano lì iperstimolate e dopate per riuscire sopravvivere in climi ostili (si veda ad esempio la “deportazione degli ulivi secolari”). I gardens dettano le regole estetiche dei giardini piccolo-borghesi delle villette a schiera, la cui cura e prestazione descrivono l’essenza dell’antiecologismo: concimi, anticrittogamici, quantità d’acqua ingenti, servono a sostenere una vegetazione incompatibile con i luoghi e con l’idea originaria di giardino. Sempre più privati, sempre più reclusi da siepi agorafobiche o da arbusti schermanti, sempre più refrattari allo scambio, all’apertura, alla socialità, questi giardini abdicano al loro ruolo di spazio aperto. Privatissimi, ma “tipici”, o meglio ancora, “standard” e quindi “comuni”, “ordinari”, nella loro logica, essi sono giardini formattati (copyright di Vitaliano Trevisan).Il giardino formattato è una possibilità diversa, un’alternativa potentissima, al giardino eterotopo o all’orto urbano. Sono due evoluzioni contemporanee, ma palesemente incompatibili, della natura intesa come spazio della metropoli futura.La prevalenza di una delle due specie segnerà probabilmente la mappatura della nuova città, ed il nostro modo di concepire l’idea di vita nella natura
La riappropriazione di una parte di paesaggio può avvenire anche grazie alla visione di una comunità che rifiuta il consumo dello spazio. Un pensiero da sviluppare, anzi da propagare.
Flavio Albanese
Testo pubblicato in Spazi Verdi. Giardini e Terrazzi. Manuale per progettare in Italia
(a cura di Fillippo Marsigli)
Utet, Torino, 2012