Per rilanciare Vicenza serve osare

Flavio Albanese racconta la sua idea di città e di come il futuro ne cambierà le funzioni

“Osare, rigenerare, ibridare, sognare». Se c è una ricetta per rilanciare Vicenza, non si trova nella tradizione della cucina veneta ma guarda a colazioni inglesi, yogurt greci e sushi.”
Una metafora che spiega le convinzioni del progettista e designer di fama mondiate Flavio Albanese. Lui, 69 anni, transitato per le cattedre delle più prestigiose università, spalanca la porta finestra del suo ufficio che si affaccia sul Bacchiglione nella sede berica di Asastudio in contra Pusterla e guarda al futuro della città, non scordando il mezzo secolo appena passato. Cinquant’ anni pieni di occasioni non sfruttate.

Chi guida la ripartenza dei centri urbani?
È un tema spinoso che potrebbe anche decretare la fine di questi centri. Devono essere gli architetti, non intesi come meri prestatori di servizi, ma come osservatori della società multitasking,- storici, filosofi, antropologi. Altrimenti non si fa bene questo mestiere. La contrapposizione con i gruppi di opinione non giova a nessuno e, oltre a mortificare la capacità intellettuale e produttiva dell’architetto, sta impantanando il sistema e la reale trasformazione del centro, con un danno spaventoso.

“Osare, rigenerare, ibridare, sognare».

Centri che, per l’Italia, hanno un valore unico.
Per noi sono sostanziali, mentre per altri paesi del mondo sono irrilevanti. Attorno al centro, abbiamo costruito una landa di niente. Nel passato c’è stata un’attenzione ridotta sulle aree centrali rispetto ai capannoni sfitti e alle mille zone produttive. Ora si può dire sia stato un atteggiamento miope. Vicenza, che per una questione di abitanti è una città microcefala rispetto alla provincia, ne è comunque capoluogo e si trova con un piano particolareggiato per il centro (il cosiddetto Piano Coppa, dal suo estensore, ndr che ha 50 anni) è una follia.

C’è un rimpianto rispetto al patrimonio perduto?
La cintura appena fuori dalle mura, tutta, era contornata da infrastrutture produttive. Beltrame, Valbruna, Montecatini, Cotorossi. Tutte costruite da metà dell’800 in poi. Una miope considerazione le ha rase al suolo. Il primo delitto è stato Montedison, con un folle progetto che ha alzato di quasi tre metri il livello dell’attività, costruendo un’enclave. L’ultimo dei delitti, invece, la demolizione della Cotorossi: è stata fatta una buona architettura, escluso l’orribile tribunale. Ma anche li si è cancellato tutto. I luoghi di lavoro – per il sudore, morti e la formazione della condizione sociale – sono simbolo del punto di passaggio tra l’attività agricola e quella urbana, giunti cardanici della trasformazione con tutta la loro dignità. Demolendo tutto si è cancellato un pezzo formidabile di storia, interrompendo il filo rosso tra cultura agricola, industriale e post-industriale che raccontava il territorio. È una verità drammatica.

Le strutture dovranno essere fortemente ibridate, perché solo così hanno grandi possibilità di sopravvivere.

Ma c’è ancora tanto da fare…
L’ex Aim è diventato un enorme parcheggio desolatamente triste; l’ex scuola in via Riale è abbandonata; abbiamo un ex convento a san Rocco, un ex stabile della Guardia di finanza, un ex fiera, un ex scuola di polizia, l’ex Domenichelli, l’ex questura e tante altre strutture “ex”. Si tratta di buchi neri inattivi, non possiamo lamentarci se i giovani se ne vanno o un investitore non mette quattro lire nella nostra città se, di fatto, è decretata come morta.

Come affrontare questi non-luoghi?
Se mai dovessimo mettere mano a tutti questi “ex”, non dovremmo mai affibbiare etichette statutarie. Dovranno diventare tantissime “robe” e vorrei che la normativa dicesse “non potete costruire armi nucleari; per il resto, fate quello che volete”. Se si fanno interventi pubblici, invece, non si può più pensare che una biblioteca che resti solo una biblioteca ma deve essere progettata per ospitare incontri, per essere un’emeroteca, per concerti e per musica. Le strutture dovranno essere fortemente ibridate, perché solo così hanno grandi possibilità di sopravvivere. E si deve pensare al dualismo giorno-notte.

Cioè?
È un conflitto anche questo . In che modo si ascolta la notte? Non si vive solo dalle 7 di mattina alle 23. Cosa rappresenta la notte nelle nostre città contemporanee? Il mondo non ha fusi orari e perché dobbiamo essere esclusi come fossimo in una specie di enclave. Una biblioteca può restare aperta dopo mezzanotte? Avessimo avuto ancora i nostri capannoni, avremmo posti perfetti per ospitare la cosiddetta movida e le arti performative.

Lo straniero devo incontrarlo nella città più piena e non nei margini, perché lì lui diventa emarginato e marginale. Se posso incontrarlo in centro, invece, è un arricchimento per entrambi. È ora di smettere di alimentare paure del diverso.

Ora cosa fare?
Le città storiche sono le future fabbriche innovative. Oggi si possono produrre beni di consumo con modalità straordinarie come le stampanti 3d. Nei centri storici deve essere trasferito l’artigianato di qualità che abia però spazi collaterali e diversi dalla grande distribuzione, altrimenti c’è il grande rischio dell’omologazione. Non ci dovranno essere soltanto botteghe ma vere fabbriche innovative, che puntino sulla digitalizzazione e su supporti informatici per la produzione. Le attività culturali poi, non devono essere né a spot né a servizio del turismo

Le città si possono riprendere in mano?
Possono essere ancora luoghi dell’elaborazione di cambiamento sociale. Lo straniero devo incontrarlo nella città più piena e non nei margini, perché lì lui diventa emarginato e marginale. Se posso incontrarlo in centro, invece, è un arricchimento per entrambi. È ora di smettere di alimentare paure del diverso.

Non si può prescindere dalla politica.
La politica deve dire che città vuole, interrogarsi sul destino di questo maledetto. Luogo. Per certo, la conservazione tout court decreta la fine di un qualsiasi oggetto vitale. C’è bisogno di rigenerazione, ricondizionamento, trasformazione funzionale, trasformazione estetica. Non tutti luoghi hanno la valenza che crediamo: quelli che l’hanno debole devono essere coscientemente e immediatamente messi a confronto con un pensiero contemporaneo. Non ci sono scappatoie. Bisogna cercare un approccio bilanciato di interessi pubblici e privati. Per mettere mano ai molti ex, eliminando gli operatori finanziari. Come porta vivere la città se, da una parte, c’è uno strapotere delle norme restrittive e dall’altra c’è un’irrilevante autorevolezza degli autori? La supremazia deve essere dei soprintendenti, che devono confrontarsi pariteticamente con chi progetta.

Come porta vivere la città se, da una parte, c’è uno strapotere delle norme restrittive e dall’altra c’è un’irrilevante autorevolezza degli autori?